Nel 1828 le operaie della fabbrica tessile di Dover, nel New Hampshire, decidevano che era troppo. Ne avevano abbastanza di lavorare dall’alba al tramonto per pochi spiccioli. Le signore della buona borghesia avevano appena iniziato a chiedere il diritto di voto per le donne – solo per le bianche, ovviamente – ma queste operaie di tutti i colori, accomunate dallo sfruttamento del loro lavoro, già scioperavano. Bandiere in mano, minacciose, circondarono la fabbrica per ore, chiarendo le loro richieste. Scoppiò anche della polvere da sparo, forse qualche bomba carta. Non chiedevano molto, ma chi dirigeva la fabbrica si affrettò a pubblicare annunci per sostituire le manifestanti con altre lavoratrici in cerca di un reddito. Le rivendicazioni finirono in niente e le coraggiose scioperanti rientrarono al lavoro con la paga ridotta.
Lotta di classe, ma per qualcuna anche battaglia contro il razzismo, un virus che nemmeno la fine del regime schiavista, anni dopo, avrebbe debellato. Per quelle donne coraggiose non si trattava di lottare contro un astratto diritto di voto per le donne. La casalinga bianca, angelo del focolare, che rivendicava un ruolo per sé, mentre pensava che le sorelle Nere non meritassero attenzione, era quanto di più lontano dalle operaie di ogni colore, in lotta per il fatto di essere donne, povere e Nere.
La dichiarazione di incostituzionalità del Civil Rights Act del 1875, da parte della Corte Suprema america, le prime leggi di Jim Crow e di Linch, oltre alla famosa sentenza “Plessy vs. Ferguson”, suggellavano il contesto culturale favorevole alla sostituzione della schiavitù con un regime segregazionista arrivato fino agli anni sessanta del novecento e mai realmente superato nelle menti di molti, come dimostra George Floyd, ultima morte in una serie infinita.
Dal linciaggio di Sam Hose (https://historyengine.richmond.edu/episodes/view/502) al Minnesota del 25 maggio 2020 nulla è cambiato. Sam Hose, ucciso una domenica dopo la funzione religiosa: uomini, donne e bambini a guardare lo spettacolo come fosse una sagra di paese. Ahmaud Arbery, febbraio 2020, che correva e curiosava come tanti in un cantiere.(https://www.nytimes.com/2020/05/21/us/william-bryan-arrest-ahmaud-arbery.html?searchResultPosition=1)
Nel 1893 le donne Nere del Chicago Women’s Club – insegnanti, casalinghe e studentesse – si scoprivano attiviste nel raccogliere fondi per fare causa a un poliziotto: aveva ucciso un uomo Nero. Nel 2020 ancora un uomo Nero, soffocato da un poliziotto, mentre Elon Musk spedisce nello spazio la sua capsula avveneristica.
Ulteriore manifestazione delle contraddizioni prodotte dal sistema economico imposto dalla fine del settecento in poi. Ora nelle strade d’America qualche ultimo ha deciso di alzare un’altra volta la voce. Non è detto, purtroppo, che riescano a farsi sentire. Se proprio non vogliamo o non possiamo aiutarli, noi intorno dovremmo almeno per una volta fare silenzio, così che si sentano più forte. Voci che non danno risposte, ma chiedono.
Come Sojourner Truth, ex schiava, che al congresso delle donne di Akron, Ohio 1851, rimetteva al loro posto i bulli ponendo domande, tipo questa: «Ho vangato e coltivato la terra, ho messo il maggese nel fienile e nessun uomo sapeva tenermi testa! E non sono forse una donna? Posso lavorare e mangiare tanto quanto un uomo, se solo potessi permettermelo, e sopporto le frustate tanto quanto un uomo. E non sono forse una donna?».
Molto tempo è passato, ma la fierezza di quel pensiero è rimasta, nutrita dai soprusi, insieme all’aggressività che è la sola reazione concessa a chi è reso oggetto da altri e costretto a considerarsi tale. Fino a quando si riscopre soggetto e capisce di essere partecipe di un complesso d’inferiorità che non ha motivo. Arriva l’ora della decolonizzazione delle mente ed è un processo traumatico, perché il colonizzato non ammette misura. Frantz Fanon lo ha già spiegato. «La decolonizzazione è la rappresentazione della frase “gli ultimi saranno i primi”: perché questo accada, però, si mettono sulla bilancia tutti i mezzi, compresa, ovviamente, la violenza».
Un altro capitolo nella lunga guerra per la difesa della soggettività vera, fatta di corpi, paure, debolezze e piaceri. Una soggettività che è l’opposto dell’individualismo che fonda l’ideologia liberista.
Dai tempi di Soujourner Truth, e forse prima, l’obiettivo non è mai stato diverso da quello che enunciava Fanon, psichiatra e antillano: «Arredare i cervelli, riempire gli occhi di cose umane, sviluppare un panorama umano perché abitato da uomini coscienti e sovrani». Bisogno di cura.